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Novità per utilizzo in F24 di Crediti Non Spettanti o Inesistenti

Fin dalla prima introduzione nel 1997 del meccanismo della compensazione dei tributi, mediante l’utilizzo del Modello F24, gli operatori si sono posti il problema delle conseguenze subite in caso di errori nella compensazione dei tributi oppure nella determinazione dei crediti compensabili.

Ovviamente, come sempre in questi casi, le problematiche di cui preoccuparsi sono di due tipi: a) sanzioni amministrative, b) sanzioni penali.

Come spesso succede in Italia in ambito tributario, e puntualmente si è verificato anche in questa casistica, si è assistito innanzitutto ad una divaricazione di interpretazioni fra l’ambito amministrativo e quello penale, e la questione è stata resa ancora più tribolata da oscillazioni da parte degli organi di controllo e di giurisdizione anche all’interno dei singoli ambiti amministrativo e penale.

Per quanto attiene alle sanzioni amministrative bisogna far riferimento all’art. 13 del D.Lgs. 471/1997. Le sanzioni penali sono invece disciplinate dall’art. 10-quater del D.Lgs. 74/2000.

Partiamo dai termini essenziali:

Credito non spettante: sia la norma Amministrativa che quella Penale fanno riferimento a questo concetto di credito “non spettante” senza definirlo esattamente. Si intuisce che si tratta di un credito che di per sé “esiste” ma che è stato utilizzato impropriamente oppure in assenza della corretta documentazione.

Credito inesistente: la normativa Amministrativa (Art. 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997) lo definisce in questo modo: “Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.” La norma penale, invece, lo richiama senza semplicemente senza definirlo in modo specifico.

Le sanzioni sono ovviamente di diversa natura, e sono riepilogate dalla seguente tabella:

Come è logico le sanzioni per l’utilizzo del credito “inesistente” sono molto più pesanti e quindi diventa dirimente poter discriminare fra le due fattispecie e poter ricondurre con certezza un comportamento irregolare da parte del contribuente nell’alveo dell’una o dell’altra fattispecie.

Si aggiunga che nel caso di credito “inesistente”, l’Amministrazione finanziaria può godere di un termine maggiore per il recupero dello stesso: infatti il termine normale è di 5 anni per il recupero delle irregolari compensazioni, mentre nel caso di credito “inesistente” il termine diventa di otto anni per effetto dell’art. 27, c16, DL 185/2008.

Recentemente si segnalano due diversi contributi che svolgeranno sicuramente un ruolo decisivo per risolvere i dubbi del passato, sia in ambito amministrativo che penale.


L’INTERVENTO DELLA CASSAZIONE IN AMBITO PENALE

In ambito penale infatti una meritoria opera di chiarezza è stata fatta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che con tre sentenze 16 novembre 2021, nn.34443, 34444 e 34445 è intervenuta con chiarezza nel dibattitto circa la distinzione tra le nozioni di credito “inesistente” e credito “non spettante”; distinzione che, come visto nella tabella sopra riportata, risulta dirimente sia ai fini dei termini per il recupero del loro utilizzo in compensazione che del relativo trattamento sanzionatorio.

La Cassazione precisa quindi assume particolare rilievo la necessaria ricorrenza congiunta di due elementi per qualificare un credito come “inesistente”:

a) l’assenza del presupposto costitutivo

b) la non riscontrabilità di tale assenza mediante i controlli formali della dichiarazione.

Sono così fuori dall’“inesistenza” i crediti emergenti dalle dichiarazioni, privi già sul piano cartolare dei presupposti per la loro maturazione. La corte ha precisato infatti che “in tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza ottennale presuppone l’utilizzo non già di un mero credito ‘non spettante’ bensì di un credito ‘inesistente’, per tale ultimo dovendo intendersi (...) il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, ‘reale’) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli” formali della dichiarazione. “Nella stessa definizione positiva di ‘credito inesistente’ recata dall’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, d’altronde” -precisa la Corte - “può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l’emissione dell’atto di recupero di cui all’art. 1, comma 421, della Legge n. 311 del 2004”. Secondo la Cassazione, è “assai significativo che tale ultima disposizione si riferisca in linea generale alla ‘riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione’, mentre l’art. 27, comma 16, D.L. cit., che estende il termine di decadenza all’ottennio dal relativo utilizzo, concerna invece la sola ‘riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione’, ossia - già intuitivamente, sul piano semantico, prima ancora che giuridico - ad una fattispecie necessariamente più ristretta rispetto a quella generale, evidentemente ritenuta più grave.


L’INTERVENTO DELL’AIDC IN AMBITO AMMINISTRATIVO

“Massima AIDC: Il credito d’imposta si definisce non spettante laddove il contribuente, pur nell'intento di rispettare il presupposto normativo, commette degli errori di qualificazione o quantificazione dello stesso. Viceversa, il credito d'imposta è da definirsi inesistente nei casi in cui la determinazione del credito sia avvenuta in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera.”

Recentemente la Commissione deputata all’emanazione delle Norme di Comportamento dell’Associazione Italiana Dottori Commercialisti (Sede di Milano) ha emanato la norma n. 219 avente ad oggetto proprio la distinzione fra Utilizzo in compensazione di crediti Non Spettanti e Crediti Inesistenti.

L’intervento dell’AIDC ha il pregio di definire in modo più puntuale i caratteri più gravi che connotano l’inesistenza di un credito: è “inesistente” il credito d’imposta che si fondi su documenti non veritieri, ovvero che sia non documentato. Diversamente, è “non spettante” il credito d’imposta che si fondi su documentazione veritiera, ma carente e/o, comunque, inidonea. La prima fattispecie è di una gravità tale da giustificare sia una sanzione elevata, sia un tempo lungo di decadenza dell’azione accertatrice dell’agenzia delle Entrate, pari a otto anni, dal momento in cui il credito è utilizzato. La seconda fattispecie (credito non spettante) è di una gravità “normale”, che giustifica una sanzione ridotta, nel caso in cui la «non spettanza» sia contestata nell’ambito di un controllo formale (non nel caso in cui derivi da un controllo sostanziale), nonché un termine ordinario di decadenza dell’azione accertatrice dell’agenzia delle Entrate.

Il credito non spettante è quello per cui l’Amministrazione ha possibilità di analisi/intercettazione con gli ordinari metodi di liquidazione, ovvero quello che non passerebbe indenne dagli ordinari controlli formali.

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