top of page

Fringe benefit veicoli e tracciabilità delle spese da rimborsare

  • katialucchini
  • 16 apr
  • Tempo di lettura: 13 min

Valorizzazione del fringe benefit dei veicoli concessi ad uso promiscuo

Tra gli interventi operati dalla legge di Bilancio 2025 (L. n. 207/2024), è sicuramente destinato ad avere un impatto rilevante quello operato dall’art. 1, comma 48 della citata norma, che prevede la rimodulazione del valore assegnato ai veicoli concessi in uso promiscuo ai sensi dell’art. 51, comma 4, lett. a) del TUIR.

Il comma 48 prevede, nello specifico, che per il raggiungimento degli obiettivi di transizione ecologica ed energetica, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, la lettera a) del comma 4 dell'articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è sostituita dalla seguente: “a) per gli autoveicoli indicati nell'articolo 54, comma 1, lettere a), c) e m), del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, i motocicli e i ciclomotori di nuova immatricolazione, concessi in uso promiscuo con contratti stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2025, si assume il 50 per cento dell'importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 chilometri calcolato sulla base del costo chilometrico di esercizio desumibile dalle tabelle nazionali che l’Automobile club d'Italia elabora entro il 30 novembre di ciascun anno e comunica al Ministero dell'economia e delle finanze, il quale provvede alla pubblicazione entro il 31 dicembre, con effetto dal periodo d'imposta successivo, al netto delle somme eventualmente trattenute al dipendente. La predetta percentuale è ridotta al 10 per cento per i veicoli a batteria a trazione esclusivamente elettrica e al 20 per cento per i veicoli elettrici ibridi plug-in”.

La finalità sottesa all’azione del Legislatore è quella di realizzare con tale intervento un più basso impatto ambientale, andando a rimodulare il valore generato dalla concessione del veicolo in uso promiscuo in base alla tipologia di veicolo.

Lo scopo sopra indicato si pone in coerente analogia con quello che il Legislatore della legge n. 160/2019 di bilancio per l’anno 2020 aveva già previsto fino al periodo d’imposta 2024.

La citata norma prevedeva a suo tempo una rimodulazione del valore del fringe benefit generato dalla concessione in uso promiscuo del veicolo; sempre nell’ottica di generare un effetto benefico sotto il profilo dell’impatto ambientale, prevedeva rispetto allo scenario precedente una rimodulazione calibrata sulle emissioni, e quindi slegata dalla tipologia di veicolo.

Importante poi sottolineare che, sebbene tale misura fosse contenuta nella legge di bilancio per l’anno 2020, la rimodulazione del valore generato dalla concessione del veicolo in uso promiscuo era stata prevista a partire dal 1° luglio 2020, con uno sfasamento temporale pertanto di 6 mesi.

Con la legge di Bilancio 2025, il Legislatore novella il testo dell’art. 51, comma 4, lett. a), andando quindi a prevedere un nuovo schema che interessa i veicoli di nuova immatricolazione concessi in uso promiscuo a partire dal 1° gennaio 2025.

Un primo dato che emerge dalla nuova formulazione della norma, con un impatto rilevante in termini d’imposta dovuta, è l’aumento dei valori in natura derivanti dall’assegnazione in uso promiscuo di veicoli che, pur connotati da basse emissioni, non rientrano più nella categoria dei veicoli elettrici, ovvero ibridi plug-in.

La disciplina applicabile sino al 31 dicembre 2024, infatti, legava la determinazione dell’imponibile ai fini Irpef dei veicoli assegnati ai dipendenti, ai valori di emissione di anidride carbonica.

Rispetto alla precedente formulazione contenuta nella legge n. 160/2019, sebbene non riproposta pedissequamente, deve ritenersi implicitamente operante il principio che prevede la possibilità di applicare la disciplina previgente ai veicoli che alla data del 31 dicembre 2024 risultavano già essere immatricolati e concessi in uso promiscuo ai dipendenti entro i medesimi termini.

Per via della nuova formulazione e della contestuale permanenza della disciplina precedente rispetto ai veicoli già immatricolati e concretamente assegnati alla data del 31 dicembre 2024, occorre effettuare un’importante ricognizione delle previsioni precedentemente vigenti.

Ciò perché, se è vero che la disciplina che conduce alla determinazione del valore del fringe benefit del veicolo è saldamente ancorato al momento in cui il benefit in oggetto è stato assegnato, è imprescindibile recuperare le differenti previsioni che si sono sedimentate nel corso degli anni (fermo restando che con lo scorrere del tempo e il conseguente caducarsi di precedenti assegnazioni, a fronte di previsione delle nuove, andranno gradualmente diminuendo le fattispecie ancorate alle precedenti formulazioni). Per questo, alla luce della novella introdotta a partire dal 1° gennaio 2025, possiamo distinguere tre diverse fattispecie:

  • una relativa ai veicoli ad oggi ancora in uso promiscuo ai dipendenti in virtù di assegnazioni avvenute prima del 30 giugno 2020 (veicoli naturalmente immatricolati prima di tale data), per i quali la determinazione del valore deve ancora oggi essere effettuata assumendo il 30% del valore convenzionale di costo determinato per una percorrenza media di 15.000 Km annui secondo quanto indicato nelle tabelle ACI;

  • una relativa ai veicoli immatricolati e concessi in uso promiscuo a decorrere dalla data del 1° luglio 2020, rispetto ai quali viene introdotta una declinazione a salire determinata in base alle emissioni (25% del valore per veicoli con emissioni inferiori di anidride carbonica inferiori a 60g/Km, 30% per veicoli con emissioni comprese tra 60 g/Km e 160 g/Km, 50% - dopo che per il solo anno 2020 era stato previsto il 40% - per veicoli con emissioni comprese tra 160 g/km e 190 g/km, ed infine il 60% - dopo che per il solo anno 2020 era stato previsto il 50% - per veicoli con emissioni superiori a 190 g/km) secondo quanto indicato nelle tabelle ACI;

  • da ultimo la declinazione contenuta nell’articolo 51, comma 4, del TUIR in vigore dal 1º gennaio 2025. Giova in tale scenario ricordare come allo spirare di un accordo di assegnazione, ovvero dell’assegnazione di un diverso veicolo rispetto a quello in precedenza riconosciuto, ogni nuova concessione che si collochi (sia come data di immatricolazione che – naturalmente – di assegnazione) a partire dal 1° gennaio 2025, sarà attratta nella nuova disciplina risultante dalla novella della legge n. 207/2024.


Il precedente del 2020 e alcuni spunti di prassi amministrativa

Come sopra ricordato, l’intervento del Legislatore della legge di Bilancio 2025 appare, mutatis mutandis, analogo e ha la medesima finalità sottesa al provvedimento contenuto nella legge n. 160/2019 di stabilità per l’anno 2020.

Con riferimento a quest’ultima disposizione, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Risoluzione n. 46/E del 14 agosto 2020 che oggi, nelle more di un eventuale nuovo intervento sul tema, può rappresentare senza dubbio un importante documento di prassi da cui emerge l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria sulla materia che ci occupa.


Il concetto di assegnazione e la relativa decorrenza

Anche nella formulazione del 2020, come già rilevato, la disciplina riguardava i veicoli di nuova immatricolazione concessi in uso promiscuo dalla decorrenza prevista dal legislatore (rectius: a far data dal 1° luglio 2020).

Da segnalare che nella formulazione normativa dell’epoca, il comma 632 dell’art. 1 legge n. 160/2019 prevedeva espressamente la permanenza in vigore della disciplina previgente rispetto ai veicoli concessi in uso promiscuo fino al 30 giugno 2020.

Tornando sulla risoluzione n. 46/E/2020, l’Agenzia delle Entrate aveva evidenziato come il concetto di assegnazione di veicolo in uso promiscuo non rappresenti un mero atto unilaterale del datore di lavoro che concede il veicolo rientrante nel perimetro dell’art. 51, comma 4, lett. a) del TUIR, quanto invece necessiti di un vero e proprio accordo tra le parti, nel quale a fronte della volontà datoriale, consegue l’accettazione del lavoratore di beneficiare del bene.

Diventa quindi a tal fine rilevante la data di formalizzazione dell’accordo negoziale in questione, che quindi assurge a momento di effettiva concessione del veicolo (e che nel caso di specie, in relazione alla novella apportata dalla legge n. 207/2024, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, presuppone la propria collocazione a decorrere dal 1° gennaio 2025).


Il complesso caso di immatricolazione e concessione a cavallo dei due periodi

Un caso tutt’altro che raro ed estremamente delicato viene a concretizzarsi nell’ipotesi di asincronia tra la data di immatricolazione del veicolo e quella di concessione dello stesso mezzo al dipendente rispetto alla data di discrimine che ci occupa; in altre parole, attualmente tale scenario potrebbe concretizzarsi rispetto a tutto quel parco veicoli immatricolati entro il 31 dicembre 2024, ma poi effettivamente assegnati al dipendente a partire dal 1° gennaio 2025.

Una fattispecie analoga era già stata analizzata all’epoca dalla risoluzione n. 46/E/2020 rispetto a veicoli immatricolati prima del 30 giugno 2020, ma poi assegnati concretamente a partire dal 1° luglio 2020.

In quell’occasione, l’Agenzia delle Entrate aveva considerato inapplicabile il criterio forfetario per la determinazione della base imponibile in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente stante l’assenza delle condizioni previste dall’articolo 51, comma 4, del TUIR vigente al momento della concessione del veicolo.

Più precisamente, non poteva applicarsi la nuova disposizione poiché il veicolo era stato immatricolato prima del 1° luglio 2020 e neanche la disciplina previgente, in quanto lo stesso non era stato concesso entro il 30 giugno 2020.

Nel contempo, non riteneva neanche applicabile il criterio del valore normale richiamato dal precedente comma 3 dell’art. 51 che riconduceva al concetto del valore normale dei beni e dei servizi erogati dal datore di lavoro di cui all’art. 9 del TUIR, considerato che tale criterio riguarda i beni concessi a uso privato, mentre nella fattispecie, gli autoveicoli, i motocicli e i ciclomotori sono concessi a uso promiscuo.

In definitiva, per l’Agenzia delle Entrate il valore fiscale nella fattispecie in parola, nell’ottica generale di uso promiscuo del veicolo, doveva poi essere valorizzato secondo il criterio del valore normale, ma poi epurato della porzione riconducibile all’utilizzo relativo all’attività lavorativa, in maniera tale da poter considerare a quel punto reddito solo la quota di effettivo utilizzo personale del bene. Il criterio appena descritto era stato a sua volta attinto dalla risoluzione dell’Agenzia Entrate n. 74/E del 20 giugno 2017 in materia di concessione di telefoni cellulari a uso personale.

Si tratta naturalmente di un criterio che, al netto dell’iter concettuale e logico sopra descritto, presenta senza dubbio difficoltà concrete di calcolo di non poco conto. Al tempo stesso, ad oggi, e nelle more di eventuali chiarimenti di segno opposto da parte dell’Agenzia delle Entrate, quello appena descritto appare il criterio rispetto al quale – anche per una linea prudenziale di determinazione del valore che andrà a costituire reddito imponibile sotto il profilo contributivo e fiscale, considerando anche la circostanza che le regole di concorrenza seguono la logica generale sottesa all’art. 51, comma 3, anche in ordine al “dialogo concorrente” con forme diverse di erogazione di beni e servizi da parte del datore di lavoro – sembra più opportuno aderire.


Modalità pratiche di attuazione

Provare a dare una concreta attuazione, presuppone la presenza di due passaggi:

  • la determinazione del valore normale del bene secondo i criteri generali dell’art. 9 del TUIR;

  • la mappatura dell’utilizzo per lo svolgimento (eventuale) di attività rientranti nella sfera lavorativa, che debbono essere escluse dalla concorrenza a formare reddito imponibile.


Immatricolazione ante 2025 e concessione post 1° gennaio 2025: è possibile una diversa chiave di lettura

Rispetto alla fattispecie sopra rappresentata (immatricolazione del mezzo effettuata entro il 31 dicembre 2024 e concreta concessione successiva al 1° gennaio 2025) è possibile fornire una diversa chiave di interpretazione circa la definizione del valore che andrà a costituire reddito imponibile?

L’unica alternativa che può essere in astratto presa in considerazione per alcune valutazioni è quella che condurrebbe alla disciplina vigente fino al 31 dicembre 2024, e quindi alla relativa formulazione dell’art. 51, comma 4, lett. a) del TUIR.

Rispetto a questa tesi è possibile rilevare la presenza di un elemento che potrebbe far propendere a una risposta in tal senso affermativa, al quale però fanno da contraltare due considerazioni più rilevanti di segno opposto.

A suffragio di questa tesi potrebbe collocarsi, infatti, il dato che il Legislatore della legge di bilancio 2025 ha previsto non soltanto la concessione a decorrere dal 1° gennaio 2025, ma anche la nuova immatricolazione.

Riprendendo la già citata risoluzione n. 46/E/2020, il concetto di nuova immatricolazione si concretizza in ipotesi di collocazione in data uguale o successiva a quella dell’entrata in vigore del nuovo impianto normativo (nel caso specifico della Risoluzione n. 46/E, il 1° luglio 2020, nel caso attuale, per analogia, il 1° gennaio 2025).

Di riflesso, si collocano in antitesi – rafforzando il concetto prudenziale sopra evidenziato – due considerazioni:

  • in primo luogo, il già citato orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 46/E/2020;

  • in secondo luogo, ammettendo l’implicita sussistenza del medesimo concetto contenuto nella locuzione utilizzata dal Legislatore della legge di bilancio per l’anno 2020 rispetto alla permanenza della disciplina precedentemente in vigore per i veicoli già assegnati in uso promiscuo, è possibile notare come già all’epoca il focus fosse rivolto al concreto atto di riconoscimento, e non anche alla mera immatricolazione del veicolo (che, invero, è in ogni caso concetto presente in entrambe le formulazione); ciò peraltro rafforza l’ancoraggio al concetto del generale principio che determina la sussistenza di un reddito a favore del lavoratore nel momento in cui lo stesso (anche nelle ipotesi in cui sia ancorato al riconoscimento – come nel caso di specie – di beni e servizi) esce effettivamente dal patrimonio del datore di lavoro per entrare a far parte di quello del lavoratore.

AI fini di risolvere la fattispecie, è pertanto auspicabile un intervento del legislatore che possa considerare applicabile le disposizioni dell’articolo 51, comma 4, del TUIR anche nel caso di veicoli immatricolati entro il 31 dicembre 2024 e concessi a uso promiscuo al lavoratore dal 1° gennaio 2025.

In tali ipotesi, il legislatore dovrebbe naturalmente decidere, altresì, quale sia il regime applicabile e più precisamente se sia quello vigente al momento della concessione del veicolo oppure quello della sua immatricolazione.


Tracciabilità delle spese sostenute durante le trasferte o le missioni

Altro intervento di rilievo operato dalla legge n. 207/2024 è quello che concerne la tracciabilità delle spese sostenute nel corso dell’invio in missione dei dipendenti, la cui disciplina è contenuta all’articolo 1, commi da 81 a 83.

Per quanto concerne la determinazione del reddito da lavoro dipendente, la lettera a) del comma 81 modifica l’art. 51, comma 5, del TUIR andando ad aggiungere, infine, un nuovo periodo: “i rimborsi delle spese per vitto, alloggio, viaggio e trasporto effettuati mediante autoservizi pubblici non di linea di cui all'articolo 1 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, per le trasferte o le missioni di cui al presente comma, non concorrono a formare il reddito se i pagamenti delle predette spese sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

A cascata si pone poi la lettera c) del medesimo comma 81, che novella l’art. 95 del TUIR andando a inserire dopo il comma 3, il comma 3-bis, con il quale viene previsto che “le spese di vitto e alloggio e quelle per viaggio e trasporto mediante autoservizi pubblici non di linea di cui all'articolo 1 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, nonché i rimborsi analitici relativi alle medesime spese, sostenute per le trasferte dei dipendenti ovvero corrisposti a lavoratori autonomi, sono deducibili nei limiti di cui ai commi 1, 2 e 3 se i pagamenti sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi di pagamento previsti dall'articolo 23 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

Con queste due modifiche il Legislatore opera una duplice stretta in tema di rimborsi spese, e in particolare ne àncora la possibilità di esclusione dalla base imponibile del reddito di lavoro dipendente nonché dalla deducibilità dal reddito d’impresa con possibile estensione anche a quelli di lavoro autonomo (v. infra), al pagamento mediante i mezzi tracciati tipizzati.

Come detto, l’intervento è di duplice matrice:

  • la lett. a) del comma 81 si riverbera, infatti, nella sfera privata del lavoratore inviato in trasferta e che a monte sostiene la spesa per la quale successivamente viene richiesto il rimborso; laddove il pagamento iniziale venga effettuato con una modalità non tracciata – tale concetto si desume per una logica di lettura “al contrario” del passaggio normativo – la spesa oggetto di rimborso dovrà concorrere a formare reddito assoggettato a prelievo contributivo e fiscale;

  • La lett. c) del medesimo comma 81, introducendo il comma 3-bis all’art. 95 del TUIR, prevede invece che, laddove l’originario pagamento della spesa sostenuta dal lavoratore nell’esecuzione della sua prestazione e in costanza di invio in trasferta sia stato effettuato in forma non tracciata, il rimborso (già costituente reddito secondo quanto previsto dalla lett. a di cui sopra) non costituisce spesa deducibile ai fini della determinazione del reddito d’impresa La descritta indeducibilità, ai sensi dell’art. 1, comma 82, della legge n. 207/2024 riverbera i suoi effetti anche ai fini IRAP.

Qualche dubbio, invece, emerge sulla possibile estensione della predetta indeducibilità anche in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo.

Più specificamente, il comma 5 dell’art. 54-septies TUIR richiama, ai fini della deducibilità delle spese per prestazioni lavoro autonomo, esclusivamente l’articolo 95, comma 3, del TUIR e non anche il successivo comma 3-bis.

Il comma 3-bis richiamato potrebbe ritenersi collegato al precedente comma 3, anche se una stretta interpretazione letterale del dettato normativo parrebbe limitare l’obbligo di tracciabilità esclusivamente nell’ambito del reddito d’impresa.


Gli effetti del nuovo regime della tracciabilità delle spese ai fini dell’imponibilità dell’indennità forfettaria di trasferta

A questo punto è interessante analizzare se e quali possono essere i riflessi dell’eventuale pagamento in forma non tracciata di talune spese – in particolare quelle di vitto ovvero di alloggio – in costanza di invio trasferta, rispetto alla determinazione dell’assoggettamento della relativa indennità forfettaria. Ù

Nello specifico, l’indennità forfettaria di trasferta può avere una definizione contrattuale collettiva e di certo ne ha una sotto il profilo della concorrenza a formare reddito da lavoro dipendente.

Relativamente al primo aspetto, i contratti collettivi possono disciplinare un importo (quando previsto è tendenzialmente ancorato alla durata della missione e alla retribuzione giornaliera di fatto percepita dal lavoratore) che può essere riconosciuto in ipotesi di invio in missione.

Sotto il profilo della concorrenza a formare reddito da lavoro dipendente, l’art. 51, comma 5 del TUIR (nella porzione che precede la novella introdotta dalla legge n. 207/2024) prevede a sua volta la non concorrenza a formare reddito da lavoro dipendente rispetto alle indennità per trasferte percepite e rispetto a invii fuori dal territorio comunale, entro il limite massimo di 46,48 € per quanto riguarda il territorio nazionale, elevati a 77,47 € in ipotesi di missioni all’estero.

Gli importi suddetti debbono essere abbattuti di un terzo in ipotesi di alternativo ristoro di spese documentate di vitto, ovvero di alloggio; l’abbattimento raggiunge i due terzi, sia in ipotesi di rimborso di spese documentate sia di vitto che di alloggio, così come nel caso di presenza di rimborso analitico delle spese sostenute nel corso della missione.

In ipotesi di superamento della soglia di esenzione, l’indennità suddetta concorre a formare reddito imponibile (sia sotto il profilo contributivo che fiscale) per la sola porzione eccedente.

Rispetto al regime di esenzione, e in particolare rispetto alla determinazione dell’eventuale soglia di abbattimento delle indennità forfettarie di trasferta, si ritiene che la novella ora introdotta in tema di necessaria tracciabilità delle spese sostenute in costanza di invio in trasferta assuma una posizione neutrale.

Ai fini della determinazione della soglia di esenzione dell’indennità di trasferta, la circostanza che le spese di vitto e/o di alloggio siano o meno sostenute attraverso pagamenti tracciati non ha alcun riflesso rispetto agli abbattimenti sopra descritti.

Ecco quindi che, in ipotesi ad esempio di rimborso da parte del datore di lavoro delle spese di vitto e di alloggio, e contestuale volontà di riconoscere un’indennità forfettaria di trasferta, il fatto che le prime siano o meno sostenute in maniera tracciata – al netto dei riflessi circa l’imponibilità in capo al lavoratore e alla deducibilità dal reddito d’impresa – non avrà riflessi nella determinazione della quota esente della seconda che, coerentemente con quanto previsto dall’art. 51, comma 5 del TUIR, dovrà essere abbattuta di due terzi rispetto alla misura massima.



 
 
 

Comments


bottom of page